ExportUSA, sempre alla ricerca dei trend di mercato, non poteva certo mancare alla NYFW, da poco terminata

A confermare che l’Italia della moda conta nel mondo, è la presenza di nuovi brand italiani che sfilano a New York, per unirsi ai grandi marchi del fashion system

E proprio mentre il tour della moda continua sulle passerelle di Milano, con 64 sfilate e 94 presentazioni in calendario, per un totale di 156 collezioni, ci chiedevamo perché un brand italiano preferisca esordire sulla scena di New York. Abbiamo così intervistato la stilista emergente Susy Fuccillo, volto già noto al pubblico italiano per aver partecipato al famoso talent show Amici di Maria De Filippi. 
 

Come mai dalla danza alla moda, come nasce il tuo brand?

Io vengo da una famiglia di sarti e sono cresciuta in mezzo a stoffe e cuciture, nell’affascinante mondo della sartoria. Poi però la vita mi ha portato in un’altra direzione, quando ho scoperto la danza. E così a 16 anni ho lasciato Napoli per andare a Roma, dove ho vissuto fino ai 24, quando sono entrata nella serie TV Amici. Questo talent è stato il mio trampolino di lancio verso il mondo dello spettacolo, perché da quel momento ho lavorato in tutte le trasmissioni ambite da una ballerina, dalla Rai a Mediaset. Ma la passione per la moda non mi ha mai abbandonato, e da circa 3 anni mi sono dedicata appieno alla creazione del mio brand: Bereshift.

Inizialmente volevo disegnare costumi da bagno, poi ho pensato, perché non ispirarmi a un trend già molto in voga nel mondo della danza, dove abiti sportivi vengono indossati anche nel quotidiano, dove è normale abbinare un tacco a una tuta, uscendo dai soliti canoni del lusso, per entrare in uno stile urbano e innovativo. Sto parlando della moda streetwear, della tendenza cosiddetta sporty chic.


Come mai hai deciso di debuttare a New York?

C’è più di un motivo per cui volevo lanciare il mio brand proprio a New York.
Innanzitutto perché questo stile non è ancora molto conosciuto in Italia, mentre il mercato americano è già pronto: il trend athleisure è nato in America ed è così diffuso da influenzare anche marchi non sportivi. Si parla di un abbigliamento funzionale sportivo/casual da usare in casa, in ufficio o nel weekend. L’unione di stile e comfort è la nuova priorità, è il futuro. E ha molto mercato qui. 9 americani su 10 indossano athletic wear per attività diverse dallo sport. E si prevede un trend di crescita inarrestabile fino al 2020.

Bereshift rientra appieno in questo stile. È un marchio giovane e grintoso, rappresenta il lusso confortevole, dalle linee morbide e curate, che sorprendono perché mostrano creatività e classe: due carattestiche del Made in Italy riconosciute a livello globale.

Inoltre, da ballerina energica quale sono, volevo portare me stessa nel brand. Per questo ho usato colori forti, per mettere in evidenza l’identità della mia donna: dal carattere deciso, autonomo, senza veli. In Italia la donna si sta approcciando ora a un trend di abbigliamento che arriva da oltreoceano e spazza via rigidi clichè di bellezza dettati da una moda che continua a promuovere l’immagine standardizzata di donne filiformi.

È questa la differenza principale tra il target italiano e il target americano?

Per me è una questione di approccio: quello della donna italiana è più influenzato da un culto della moda che ha radici storiche; mentre il popolo delle fashion addicted americane è più giovane e più libero da retaggi culturali, e di conseguenza più aperto a ogni genere di cambiamento. 


Partire da qui è dunque un inizio, che servirà di riflesso a comunicare anche alla donna italiana?
Io voglio partire da questo mercato per poi vendere anche in Italia.
Ambisco a raggiungere il successo qui, per poi portarmelo a casa.
Questo è il mio obiettivo.
 

Come ti sei avvicinata così tanto alla mentalità americana?

È stato sempre attraverso il mondo della danza che mi sono avvicinata all’America. I miei coreografi mi dicevano di andare a Los Angeles, perché lì le ballerine forti ed energiche come me sono molto apprezzate, e non è necessario essere magrissime per avere una carriera di successo. Ed è proprio questo il messaggio che volevo comunicare attraverso Bereshift.

All’inizio mi è stato chiesto se volessi produrre dalla taglia S alla taglia M, mentre io ho voluto costruire la mia collezione dalla taglia XS alla taglia L.
Avere tutte le taglie è un messaggio molto importante, per me che sono cresciuta nel mondo dello spettacolo e conosco le dinamiche che si nascondono dietro il mondo della danza e della moda. La donna non può e non deve ammalarsi per diventare una modella o una ballerina classica, perché essere magre è l’unico canone possibile per lavorare. Essere in forma vuol dire nutrirsi bene, altrimenti non si hanno nemmeno le forze per poter affrontare un lavoro.
 

Quindi prima di puntare al mercato americano non hai nemmeno tentato di sondare il mercato italiano, e se sì, quali differenze hai riscontrato?
Non ti nego che all’inizio ho pensato anche a Milano, perché la mia vita lavorativa ed affettiva era pienamente realizzata in Italia, e ho cercato diverse agenzie con cui poter sviluppare il mio progetto. Mi sono stati proposti dei team di persone con cui collaborare, ma alla fine ho rifiutato, perché avrei dovuto sottostare a troppe logiche di mercato. Durante la progettazione delle mie creazioni spesso mi dicevano “questo abito in Italia non si vende bene”. Poi non mi piacevano le location che mi avevano proposto per la sfilata, né gli showroom dove sarebbe stata esposta la mia collezione. E in questi 3 anni ci sono stati momenti di sconforto dove stavo per rinunciare a questo grande sogno. Poi ho provato con l’America e ho trovato l’agenzia che ha capito esattamente cosa volessi fare, supportando in toto il mio progetto. Se in Italia sentivo la mia creatività comprimersi, posso dire che in America ho potuto liberarla, aprirmi a nuovi orizzonti.
 

Come sei entrata alla New York Fashion Week?

Attraverso un’agenzia di PR, che ha sposato il mio progetto, perché ovviamente non vengono accettati tutti alla New York Fashion Week.


 

Come è avvenuta la selezione, sei dovuta venire a New York?

Il primo contatto è avvenuto tramite una skype call, poi ci siamo incontrati a Milano dove ho portato un piccolo portfolio di foto e qualche mia creazione. Ho parlato della mia donna, di ciò che volevo comunicare. Le mie idee sono state accolte con grande entusiasmo, e da parte mia ho sentito lo stimolo giusto, finalmente, che mi ha convinto a investire qui. La mia energia e la mia positività nella vita in generale si rispecchia molto nella mentalità americana, che è esuberante, positiva, energica, dinamica, grintosa. Qui mi sento più a mio agio e riesco ad esprimermi al meglio. Con l’America ho una connessione che con l’Italia non ho; ma d’altra parte sono italiana, e amo l’Italia per mille altri aspetti.
 

E quali sono gli step nella costruzione di un progetto moda per sfilare in America?

Nei mesi di preparazione alla sfilata si lavora con uno scambio di mail. La produzione mi ha proposto una gamma di scelte (vari budget, makeup, hairstyle, location) e successivamente, dopo un’accurata selezione, ho risposto con la mia lista di preferenze. Il budget è la prima cosa da definire in un progetto del genere. L’agenzia funge da intermediaria. Ha fornito gli sponsor per l’evento/sfilata, tra cui Samsung, per citarne uno famoso. È accaduto tutto molto velocemente ed è stato anche più economico rispetto all’Italia.
 

Quali sono i prossimi step dopo la sfilata?

Come stilista esordiente viene richiesta una “capsule”: una mini collezione di 10 capi, per testare il mercato. E così per la prossima stagione. Dallanno prossimo, invece, si può passare a una capsule di 20 modelli. Adesso io rientro in Italia a creare l’autunno/inverno, e contemporaneamente parte la produzione in Portogallo, che sarà venduta negli Stati Uniti. Dalla sfilata abbiamo già preso degli appuntamenti, perché diversi concept store sono molto interessati. 
 

Perché hai scelto il Portogallo per la produzione?
Diciamo che il Portogallo era nella “famosa” lista delle proposte. E ho scoperto che la qualità dei tessuti è eccezionale. C’è un giusto rapporto qualità prezzo, anche perché il mio brand avrà un posizionamento medio alto. Dai materiali alle finiture, Bereshift punta all’eccellenza.


Se dovessi vestire una donna americana, come testimonial del tuo brand chi vestiresti?

Senza dubbio Beyonce. È la mia artista preferita. È bella, bravissima, ha energia da vendere.
Se fossi un’altra donna vorrei essere lei.
 

Per questo c’era una cantante tra le modelle che hanno sfilato?

La cantante, molto conosciuta qui, è la testimonial della campagna del mio look book, realizzata il 10 di febbraio qui a Manhattan. L’ho scelta perché fa sempre parte del mondo dello spettacolo e volevo riportare la musica anche nell’ evento. Nei prossimi eventi sicuramente arriverà anche la danza. Ora sono incinta e non posso ballare. Ma in futuro la contaminazione danza, arte, moda, spettacolo, sarà sempre più evidente. Ci saranno performance direttamente in passerella. Anche me è un nuovo inizio, ma sono molto fiduciosa.

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