Il miglior ristorante degli Stati Uniti è italiano e ha un menù focalizzato sulla pasta

TripAdvisor decreta Pane & Vino la Trattoria, a Miami Beach, come miglior ristorante in USA nella categoria Everyday Dining per ben 3 volte consecutive

La sfoglina e l'arte di fare la pasta in vetrina a Miami e il ristorante decolla

Intervista esclusiva di ExportUSA ad Angelo Quaglini, proprietario di Pane & Vino la Trattoria, il pluripremiato ristorante classificato best of the best 2020 da TripAdvisor negli Stati Uniti. TripAdvisor, la più grande piattaforma di recensioni al mondo, decreta come miglior ristorante negli Stati Uniti un ristorante italiano, Pane & Vino la Trattoria, a Miami Beach, che vince per il terzo anno consecutivo nella categoria cucina per tutti i giorni. Dopo aver bissato per due anni (2018 e 2019) l’ambito premio Travellers’ Choice, nella categoria Best Everyday Dining – United States, nel 2020 Pane & Vino fa un ulteriore salto di qualità, classificandosi al primo posto nella categoria Travellers' Choice Best of the Best, il massimo riconoscimento conferito da Tripadvisor, perché riflette il meglio del meglio per il servizio, la qualità e la soddisfazione del cliente. A vincere su tutte le altre cucine del mondo presenti negli USA non è solo la cucina italiana, ma in particolare il piatto simbolo del Made in Italy a tavola, la pasta. Come and Enjoy our Handmade Pasta (entra e assapora la nostra pasta fatta in casa) è il leitmotiv che si legge nel sito di Pane & Vino, ed è lo stesso messaggio che risuona forte non appena ci si imbatte davanti al ristorante sulla passeggiata a Washington Avenue, vicino alla famosissima via storica di Miami Beach, la Espanola Way. Al suo ingresso, infatti, ciò che richiama subito l’attenzione dei passanti è la presenza in vetrina di uno/a chef old-school, con il grande cappello bianco, che lavora abilmente la sfoglia davanti alla spianatoia in legno: tagliatelle (qui più note come fetuccine), gnocchi, ravioli, tortellini vengono preparati al momento davanti agli occhi dei passanti, incantati dalla maestria dell’arte di fare la pasta in una cornice calda e accogliente in pieno stile chabby-chic. Dai merletti bianchi delle tendine in vetrina, alle citazioni filosofiche e alle bottiglie di vino che adornano le pareti, alle luci soffuse che si infondono sui tavoli di legno rustico e sulle macchine per la pasta manuale originali vintage, questa piccola trattoria è una fotografia d’altri tempi, una cartolina dal passato che inneggia alla poesia, dove il rispetto delle tradizioni evoca fin da subito la buona tavola. Uno spazio intimo (non oltre 50 coperti) in cui sedersi e assaporare un'esperienza culinaria, attraverso un viaggio culturale in cui la filosofia italiana si riflette nella ricercatezza degli ingredienti e degli inconfondibili sapori Made in Italy.

Raffinato, ma anche informale, Pane & Vino trattoria è perfetto per una cena intima. Aperto la sera (solo nel weekend anche a pranzo) sin dal 2014, quando la coppia italiana Angelo e Athena Quaglini decise di lanciare questo concept, ancora inedito sulla scena di Miami Beach. Da allora Angelo e Athena hanno saputo farsi strada stuzzicando l’appetito dei loro moltissimi clienti: sia quelli che arrivano dall’ affollato passaggio turistico della zona, sia dei tanti pasta lover ben informati, che arrivano da tutta Miami, e non solo. Spesso bisogna attendere giorni per avere un tavolo, come confermano le liste d’attesa delle prenotazioni online su Yelp. Qualità del cibo, prodotti di prima scelta preparati al momento, ricette che combinano tradizione a quel pizzico di contemporaneità, e un servizio che fa la differenza, per regalare al cliente un’esperienza da ricordare. Un esempio su tutti, gli spaghetti al pomodoro e basilico mantecati nella ruota di Grana Padano. La pasta arriva su un carrello accanto a mezza forma di Grana scavato, un cameriere posiziona poi gli spaghetti all'interno del pezzo di formaggio raschiato e li mescola vigorosamente in modo da assorbire le scaglie di forma e dar vita a una crema vellutata dal sapore ricco e avvolgente. Divertente da guardare, ma ancor più gustoso da mangiare, dato che gli spaghetti sono considerati i migliori della città. Il menù presenta una ricca selezione di antipasti tra piatti imperituri in America come la frittura mista, la parmigiana di melanzane o la Caesar Salad e classici italiani come la bruschetta e la caprese (di bufala) o la burratina (la mozzarella dal cuore morbido di panna è la più richiesta negli USA), ma anche nuovissimi sapori per il palato americano come la piadina romagnola. Poche opzioni per i secondi, come alternative per i commensali che non amano il carboidrato, perché il menù è un vero e proprio inno alla pasta, la specialità della casa, con ben 16 primi (incluso un risotto). Diverse le tipologie di pasta secca e soprattutto fresca all’uovo (anche ripiena) con i sughi abbinati, che hanno tutto il suono di ricette autentiche italiane gourmet.

Niente penne alla vodka dunque, o spaghetti con le meatballs, ma una degna esplorazione dei tesori delle ricette regionali della pastasciutta e della sua storia antica: dalla lasagna emiliana alle tagliatelle alla bolognese (Angelo è di origini bolognesi), alle pappardelle al ragù di agnello con carciofi croccanti, e poi ancora i paccheri con gamberi e pistacchi, gli gnocchi gorgonzola e noci o i bucatini alla matriciana, solo per citarne alcuni. Il punto di prezzo di un piatto di pasta è di circa 25 $, partendo da un minimo di 17$ per gli spaghetti aglio e olio e peperoncino a un massimo di 28$ per i gli spaghetti (alla chitarra) al nero di seppia allo scoglio. Un costo in linea con un ristorante di qualità a Miami Beach, ma che non si posiziona come ristorante di fascia alta e quindi accessibile a tutti. Il servizio è attento e cortese per coccolare il cliente, dove non manca mai la battuta e la giusta dose di simpatia, sinonimo di quell’atmosfera familiare tipica italiana che è molto apprezzata dai clienti americani, e non solo. Noi di ExportUSA siamo stati a trovare Angelo al suo ristorante, per farci raccontare qualcosa in più, questa volta sugli ingredienti del suo successo imprenditoriale.

Hai aperto Pane & Vino nel 2014 e fai parte di quel movimento italiano che ha portato (e fatto apprezzare) la pasta fresca in America. Come ci sei riuscito?

Ho cominciato a lavorare nella ristorazione in Messico, dove avevo dei ristoranti italiani a Playa del Carmen e Cancún, in società con un altro ragazzo italiano. Ho imparato questo mestiere proprio da lui, che aveva già 20 anni di esperienza nel settore: aveva ereditato il ristorante dal padre, che fu il primo a portare la cucina italiana a Cancún. Io all’epoca vivevo a Playa del Carmen e quando avevo voglia di un vero piatto italiano (e accadeva spesso) dovevo arrivare fino a Cancùn. Nel tempo siamo diventati amici e così un bel giorno gli ho detto: Perché non apriamo un ristorante insieme a Playa del Carmen? Sono riuscito a convincerlo, io sarei stato l’investitore, ed è cominciata questa nuova avventura. All’inizio ero un po’ un tuttofare nel suo ristorante, ma ho imparato tanto, anche se ancora non mi occupavo delle operation (fornitori, pagamenti, ecc.). Poi abbiamo trovato la location a Playa del Carmen e lì è arrivata l’idea del tavolo della pasta fresca in vetrina. L’ho replicato qui a Miami, anche se il Messico è un mercato completamente differente, perché gestendo ristoranti di fascia alta, avevo già avuto modo di conoscere i gusti della clientela americana, dato che i concierge degli hotel di lusso lavoravano molto con il turismo americano e consigliavano il nostro ristorante ai loro ospiti. Così, ho potuto approcciarmi a questo tipo di clientela e ai loro gusti culinari. Infatti, la considero la mia gavetta, da cui ho preso tantissimi spunti, anche la decisione di puntare sulla pasta fresca. Ho ripreso non solo l’idea del tavolo della pasta in vetrina, ma anche il menù, apportando piccoli cambiamenti alle ricette. Ad esempio, il cappelletto verde burro e salvia è diventato al tartufo, ma è pur sempre una pasta ripiena di spinaci. Ora posso dire che è stata un’intuizione vincente.

Quando sei arrivato a Miami qual era lo stato dell’arte della cucina italiana?

 Al mio arrivo ho fatto subito il giro dei ristoranti italiani a Miami Beach e la prima cosa che saltava all’occhio erano i menù un po’ tutti uguali: dalle classiche tagliatelle al ragù o le lasagne, ai piatti tipici della cucina italo-americana che da noi non esistono, come le fettuccine Alfredo per intenderci. E poi c’era la mia piccola giudice di master chef, mia figlia più grande (all’epoca aveva 6 anni) che a tavola non scende a compromessi: se il cibo non è buono non mangia. Alla fine, era diventata ironicamente la mia bussola per orientarmi sulla qualità dei ristoranti a Miami. In pratica lei mangiava poco o niente e la sorella più piccola seguiva le sue orme.

Quando hai capito che c’era un gap nella ristorazione italiana a Miami Beach è bastato puntare sull’autenticità?

Ho puntato sull’autenticità della cucina italiana, ma soprattutto sulla qualità. Pane & Vino si trova in una delle tappe turistiche per eccellenza, South Beach, a due passi dall’Espanola Way, ma non è una trappola per turisti. Questo significa da un lato non spingere la vendita, perché se i clienti stanno bene spendono da soli. Un esempio può essere quello di suggerire un vino costoso il cui prezzo non è sulla carta dei vini all’insaputa del cliente, che alla fine si ritrova un conto esagerato (e inaspettato). Quelle persone non torneranno più, mentre da noi ci sono turisti che tornano anche 4/ 5 volte quando sono in vacanza. E dall’altro lato, contraddistinguersi per la qualità. Io seleziono personalmente i prodotti sia lato food sia lato alcolici, per la maggior parte di importazione italiana, e sono il primo a testarne la qualità. Per fare ciò è fondamentale la mia presenza al ristorante, perché spesso arrivano fornitori direttamente al locale. Proprio ieri ho provato un olio extravergine che realmente era di una qualità superiore come mi era stato detto. Se non fossi stato qui non avrei potuto testarlo in prima persona, come faccio sempre. È la materia prima che determina l’eccellenza del risultato finale e la qualità dei prodotti è un imperativo assoluto.

Posso utilizzare la forma del grana padano, perché il palato americano non riesce a distinguere bene la differenza tra un grana e un parmigiano reggiano, ma non posso risparmiare sulla materia prima. A volte per differenziarmi cerco anche prodotti italiani più ricercati (e soprattutto che mi piacciono) e sono disposto a insistere con i fornitori di lunga data perché me li procurino. Ad esempio, il Morellino di Scansano è difficile da trovare qui. Quando sono riuscito ad averlo l’ho inserito a menù come special. Anche se non ho la certezza matematica di venderlo, introdurre nel menù nuovi gusti e sapori è stimolante: far conoscere le prelibatezze del territorio italiano, e in sostanza ciò che mi piace ai miei clienti. Il segreto sta proprio nel farglielo provare, perché non lo conoscono, ma poi, una volta che lo assaggiano gli piace, e quando tornano lo riordinano. Troppo facile avere come special un primo all’aragosta, non c’è soddisfazione, a metà serata è già sold out. E poi il lobster (aragosta in inglese) è banale, ce l’hanno tutti. La pasta fresca con sugo di coda di bue: questa è una sfida. E l’abbiamo venduta! Non mi piace avere i piatti che hanno tutti, indipendentemente dal fatto che sono un ristorante turistico. E poi ho anche una clientela di residenti affezionata e con gli special del giorno riesco ad aggiungere varietà al menù. Sta comunque sempre all’abilità del cameriere saper proporre e spiegare cose nuove. Non a caso ho puntato su camerieri italiani. Per il 90% i miei ragazzi sono italiani e a chi non lo è viene fatto un training.

Qual è il best seller?

Gli spaghetti alla ruota. Il fornitore di primeline, uno dei più grossi importatori di specialità alimentari italiane in America, un giorno mi ha rivelato scherzando che avrebbe dovuto darmi una percentuale sull’impennata di vendite di forma che ha avuto, dopo che questo piatto è diventato una moda nei ristoranti a Miami. Ho saputo che adesso lo fanno anche a New York e Los Angeles. Secondo classificato il tiramisù, che prepariamo al momento davanti al cliente. Mascarpone della Galbani, savoiardi di Matilde Vincenzi e non i lady finger americani (come vengono chiamati in America i savoiardi). Il tiramisù è un altro best seller dei più copiati: al tavolo non lo faceva nessuno, ora lo fanno tutti.

Ti senti più un trendsetter che detta nuove tendenze culinarie o uno storyteller capace, in grado di trasmettere le differenze tra la cucina italo-americana e il vero Made in Italy a tavola?

In Italia siamo immersi nella bellezza ovunque: la cultura, la storia, l’arte, la cucina. Per noi è qualcosa di innato e spesso lo diamo per scontato. Per noi vedere fare la pasta è quasi banale, perché siamo cresciuti vedendolo fare in famiglia. In America non lo è. Per gli americani è un’occasione di scoprire le nostre tradizioni più da vicino e rimangono sempre affascinati dalla storia del nostro patrimonio enogastronomico. Ma più che storytelling del Made in Italy, questa è la storia della mia infanzia. La pasta fatta in casa è il mio ricordo da bambino che faceva la pasta con la nonna, con la macchina per la sfoglia manuale: lei metteva la pasta, io giravo la manovella, io mangiavo il ripieno, lei mi dava un colpetto sulla mano. Era il nostro modo di stare insieme, il nostro gioco. Non vedevo l’ora che arrivava la domenica per fare la pasta con la nonna. Le foto di nonna Maria sono un pò ovunque nel locale, perché devo a lei questa passione e questi ricordi felici. Per tornare alla tua domanda penso di aver portato in America semplicemente le mie radici, cercando di rimanere fedele il più possibile alla nostra cucina, che fondamentalmente è una cucina regionale. Mentre quella italo-americana rimane comfort food e racconta un’altra storia, quella degli immigrati italiani a cui va tutto il mio rispetto. Loro hanno aperto la strada a tutti i ristoratori italiani di ultima generazione come me.

Nel menù ci sono anche altre ricette meno conosciute della pasta in America, come la piadina romagnola. Come sta andando?

Anche le piadine sono un cibo con cui sono cresciuto, non potevo non portarle con me. Me le faccio spedire direttamente da Santarcangelo, 10 casse per volta con UPS. Certo, è una sfida quotidiana, ogni volta devo specificare che Non sono tortillas. La tortillas è la famosa specialità di mais messicana molto simile alla piada e in America è conosciutissima, per cui a prima vista la piada viene scambiata per una tortillas. È cruciale, dunque, educare il cliente: proporre e spiegare il prodotto. Altro segreto, nella farcitura uso ingredienti che funzionano pur rimanendo sempre nell’eccellenza: in questo caso il crudo di Parma 20 mesi, la burrata e la crema di carciofi italiana della Greci.

Ci sono state delle difficoltà inziali quando hai cominciato la tua avventura a Miami 7 anni fa?

I primi tre mesi il locale non andava. Appena aperto la pasta non funzionava, finché non ho messo il tavolo in vetrina. Il primo chef non lo voleva, era un amico d’infanzia di Bologna e mi ha aiutato con l’avviamento del locale. Era bravissimo, ma aveva le sue idee e non voleva aiuti di alcun tipo in cucina. Quando è tornato in Italia ho comprato il tavolo. Quell’asse non si tocca per scaramanzia: la levighiamo, la sistemiamo, ma non si sostituisce. È la stessa asse dal 3 luglio 2014, quando è stata messa in vetrina. Da quella sera ho raddoppiato la clientela e ho cominciato a ingranare.

In percentuale qui a Miami Beach avete più clienti americani, sudamericani o turisti?

Ho clienti di tutti i tipi, sia americani che sudamericani, europei e naturalmente tanti italiani. Sia residenti, che turisti: siamo in una zona molto trafficata a piedi, e devo dire che in molti ci scelgono proprio grazie a TripAdvisor. Siamo consigliati anche dai luxury hotel di Miami Beach, come il Setai o il 1 Hotel, che vogliono essere all’altezza delle aspettative dei loro ospiti in cerca di un buon ristorante italiano. Capita anche di vedere arrivare persone con la limousine o di avere personalità di spicco, come il sindaco di Miami, ad esempio, che è un nostro cliente regolare. Ma sono venuti anche italiani famosi come il campione olimpico Paltrinieri insieme alla nazionale italiana di nuoto o Valentina Vignali, solo per citarne alcuni. Poi dipende anche dal periodo. In alta stagione, che qui va da gennaio a marzo, siamo inondati di canadesi e americani dagli Stati del nord-est, dove il clima invernale è molto rigido e vengono qui a svernare. Sono soprannominati snowbirds, proprio perchè scappano dal freddo e dalla neve. La verità è che stiamo perdendo i residenti perché non trovano mai posto. Anche se teniamo sempre qualche tavolo libero per i clienti regolari a cui non possiamo dire di no. Ad esempio, abbiamo clienti che arrivano da West Palm Beach apposta per mangiare da noi o manager di hotel di lusso qui nei dintorni. Oppure clienti italiani ed europei fedelissimi, che fanno spesso tappa a Miami come meta vacanziera. Gente che chiama quando arriva all’aeroporto.

Differenze principali tra palato americano e sudamericano ne hai riscontrate?

Il cliente sudamericano conosce la pasta e la nostra cucina. Non capiscono se la carbonara è con la panna o senza panna, per loro basta che sia cremosa. Anzi, a volte hanno richieste strane, al posto del guanciale vorrebbero gamberi o pollo. Questi due ingredienti, in particolare, li vorrebbero un po’ dappertutto, ma di regola non stravolgo le mie ricette per accontentarli. Al limite posso consigliare i piatti che più intercettano i loro gusti. Ad esempio, a un argentino propongo subito di provare i nostri gnocchi, perché so che gli gnocchi sono un loro piatto tipico. In Argentina c’è l’usanza di mangiare un piatto di gnocchi ogni 29 del mese e hanno persino un rituale che accompagna questo piatto: mettono i soldi sotto il piatto in segno di buona fortuna. Deriva dalla tradizione di immigrati italiani. Ma potrei fare mille esempi: ai brasiliani propongo la carne, ai peruviani ceviche, e così via. Ho anche inserito una pasta ripiena per incontrare il gusto del palato un po’ sweet dei sudamericani: i fiocchetti pere e parmigiano, che qui si vendono molto bene. Mentre il cliente americano viene letteralmente conquistato dal modo di fare italiano e dalla nostra cucina, con il cliente sudamericano cerco di entrare un po’ anche nella sua cultura per conquistarlo. Per farti un altro esempio, io gioco a calcio e con i cileni parlo di calcio e di Arturo Vidal. Le mie regole in fondo sono alla base dell’ospitalità italiana.

L’ospitalità italiana è ancora un valore aggiunto in America?

L’ospitalità italiana, che noi abbiamo nel DNA, ce la invidiano in tutto il mondo. La cura e l’attenzione al cliente è un lavoro che parte dalle nostre risposte cordiali alle prenotazioni online, ancor prima di dare il benvenuto quando i clienti entrano nel locale. Per noi ospitalità significa accogliere i nostri ospiti in un’atmosfera conviviale, farli sentire a casa. A fine cena offriamo il limoncello, proprio come in Italia. Una filosofia semplice, ma che ripaga e lo vediamo anche dalle recensioni su Tripadvisor. Naturalmente alla base di tutto ci vuole tanta passione e quella o ce l’hai, o non puoi fare questo mestiere.

Cosa ti ha dato l’America che non ti ha dato il Messico o pensi non avresti potuto avere se fossi rimasto in Italia?

Se in America ti dai da fare i risultati arrivano. Se non vai avanti è perché non ci hai messo abbastanza impegno. Un altro luogo comune è che devi essere nella ristorazione da sempre per raggiungere l’America dream. Io in Italia avevo un’agenzia di sicurezza, in Messico ho cominciato e ho visto un po’ come funzionava, ma è qui in America che la mia attività ristorativa ha iniziato a decollare. Ho appena inaugurato un secondo ristorante qui vicino, Pasta & Vino, sulla Espanola Way, perché a Pane & Vino mandavo via la gente.

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