Aprire un ristorante di successo a New York: Silvia Barban e il ristorante di Brooklyn La Rina Pastificio e Vino

Prima decide in sole 24 ore di prendere un volo per New York per aprire il ristorante di Giovanni Rana al Chelsea Market, poi viene selezionata dalla serie televisiva Top Chef America e infine apre il suo ristorante specializzato in pasta fresca, La Rina Pastifico e Vino, a Brooklyn



 

I consigli imperdibili di Silvia Barban, che a soli 30 anni vanta una carriera incredibile decollata a New York grazie a una serie di opportunità inaspettate, ma colte al volo, che l’hanno premiata facendole realizzare il sogno di ogni chef, anzi i sogni!

Da Varese la giovanissima chef Silvia Barban diventata una influencer del settore in America, e lavorando a stretto contatto con chef statunitensi racconta le differenze principali tra gli italiani, a cui viene riconosciuta una maestria indiscussa, e gli americani a cui va il merito di sapersi vendere in un contesto in cui il marketing spesso conta più della sostanza

La storia di Silvia Barban è un insieme di coincidenze incredibili che fanno pensare ad una trama hollywoodiana. Co-fondatrice di La Rina Pastificio & Vino è diventata famosa per aver partecipato al programma Top Chef USA, l’avventura di Silvia a New York è cominciata con un volo organizzato in 24 ore.

In Italia Silvia lavorava da Giancarlo Perbellini, ristorante 2 stelle Michelin a Verona, che era molto amico con uno dei direttori generali della famiglia Giovanni Rana, avendo anche i ristoranti molto vicini in città. Accade che Giovanni Rana voleva aprire un ristorante a New York, a Chelsea Market, e chiese un supporto a Perbellini perché avevano avuto tanti problemi con l'apertura, la ricerca di personale etc.

"Chiesero a me e in 24 ore ero a New York per preparare l'opening". Silvia giura, non è una barzelletta: si ritrova davvero su un aereo il giorno dopo, però poi le cose non sono andate molto bene.

"Mi incaricarono di preparare l'apertura di un ristorante, ma ottenni di farlo alle mie condizioni e soprattutto con il mio team". Silvia fa partire quindi 4 ragazzi dall'Italia, con i quali segue l'apertura, e dopo tre mesi Antonella Rana chiede loro chi volesse continuare a lavorare nel ristorante. Rimangono Silvia, super motivata perchè New York l'aveva nel cuore, e un collega, che diventano punti di riferimento del ristorante. Specializzato in pasta fatta in casa, con laboratorio a vista, il ristorante serviva per far conoscere agli americani e ai turisti il brand Giovanni Rana. Poco importa che il ristorante successivamente abbia chiuso, perchè ne apriranno un altro.

"Antonella Rana mi è stata molto vicina, alla fine è grazie a loro che sono qui oggi - confessa Silvia - è stata un mentor, una donna forte e brava arrivata in America intenzionata a far conoscere la storia vera della loro pasta fatta in casa".

Un sogno? Decisamente. Da quando anni prima in vacanza scattò la scintilla che le fece dire a gran voce "io voglio andare a New York!".
 

La voglia di cambiamento

Un buon lavoro, la città dei sogni e un team su cui contare ad un certo punto a Silvia vanno un po’ stretti. Le propongono una posizione da chef, ma lei non accetta e fa spazio al suo collega. “Una sera ero particolarmente abbattuta, un po' perchè il mio amico chef ipotizzava di andarsene, un po' perchè mi sentivo stretta in quel ruolo e volevo fare qualcosa di più ma contemporaneamente ero legata al posto dove lavoravo... Ma succede che dopo due settimane sono stata contattata da Giulia, che dopo 4 mesi sarebbe diventata la mia coinquilina, per la posizione di Executive Chef da Aita”.

Silvia se ne va, profondamente grata alla famiglia Rana per la possibilità che le hanno dato di arrivare in questa città dove le occasioni si presentano nei momenti più inaspettati. Per i due anni successivi si occupa del ristorante, di cui cura il nuovo concept dove mette testa e cuore per dare un tocco personale al nuovo locale. Fino a quando un giorno, di ritorno da yoga, lei e Giulia passano davanti ad un ristorante molto carino di cui non avevano mai sentito parlare e decidono di entrare per mangiare. Il giorno successivo il ristorante era chiuso, in cerca di nuovi proprietari e dopo un mese le due ragazze firmano il contratto di locazione.
 

Una sorpresa inaspettata: Top Chef USA

Ma la catena di eventi, per Silvia, era destinata ad allungarsi ancora di più: capita che negli stessi giorni viene contattata da una talent scout di Top Chef, uno dei programmi culinari più famosi d’America, interessata alla candidatura di un suo amico, e alla fine le propongono di fare parte del programma. “Top Chef era il mio secondo motivo che mi aveva spinto a venire a New York. Questa città ancora una volta mi stava dando la possibilità di realizzare un sogno. E io nemmeno mi sentivo pronta per candidarmi! Mi hanno cercata loro”. La serie televisiva insiste affinché lei partecipi e lo fa sottoponendole domande per più di due mesi. Dopo 13 ore di lavoro, Silvia torna a casa ogni sera e si ritrova a scrivere più di 50 pagine di risposte, convinta comunque che non avrebbero preso proprio lei. Invece la convocano per un’intervista live a Los Angeles e due giorni dopo la redazione di Top Chef la chiama e le comunica il superamento di tutte le prove e l’inserimento nel programma.

In un momento in cui Silvia aveva un nuovo ristorante da aprire, si apre invece un’opportunità che non immaginava avrebbe potuto avere. E dalla stagione 3, in cui partecipò il primo italiano, Top Chef è arrivato alla 14esima stagione con la seconda italiana nella storia del programma, proprio Silvia. Saranno mesi intensi per Silvia, che fronteggia per la prima volta una produzione americana carica di stress e competizione, isolamento per due mesi senza contatti esterni nè informazioni di alcun tipo. La parola d’ordine, del resto, era “dramma”.

“L’unica concessione da parte della produzione erano un paio di bicchieri di vino la sera e se durante il giorno non c’era stato abbastanza dramma non potevamo bere nemmeno quello!”. Insomma un’esperienza completamente immersiva e fortissima che però ha legato la chef italiana agli altri partecipanti, con cui si sente tuttora.

“Sono stata messa a dura prova, ho lavorato sotto stress - che ho capito come controllare - ma soprattutto ho imparato tantissimo. Ogni chef aveva tecniche diverse ed è stato bellissimo vederle messe in pratica”. Silvia non ha vinto ed è stata eliminata per colpa della... maionese. “Ho proposto una potato salad come me l’aveva insegnata mia nonna in Italia. Sono stata eliminata perchè non ho rispettato i canoni americani della potato salad, cioè non c’era la maionese”. Noi siamo sicuri fosse buonissima!
 

Cos’hanno gli americani che a noi italiani manca

Parliamo con Silvia delle differenze tra l’imprenditore / chef italiano e quello americano. Se agli italiani è indubbiamente riconosciuta una maestria indiscussa, agli americani va però il merito di sapersi “vendere”. L’americano ama la cucina italiana e anche gli chef riconoscono la professionalità degli italiani. Eppure, c’è chi, solo per il fatto di essere italo - americano, vince premi importanti pur non essendo un vero italiano. Perchè?

A New York fanno tanto anche il marketing, le conoscenze, e soprattutto gli chef sono furbi, perchè basta che siano andati in Italia, dove imparano a fare la pasta, per proporre al loro ritorno una cucina italiana in USA. Va a finire che gli americani impazziscono, gli italiani un po’ meno, perchè di originale alla fine conservano ben poco. Ma gli americani sanno raccontarsi e vendersi e soprattutto a New York questo fa una buoan parte del lavoro!”

In America insomma la forma conta, la mentalità è orientata al business, contrariamente a quella italiana, nonostante qualcuno ci stia provando ora. Silvia dal canto suo porta con sè l’esperienza televisiva di Top Chef ed è diventata una influencer del settore. Questo ha ovviamente contribuito a far spiccare il volo al suo business.

Top Chef è stato un trampolino di lancio così importante che l’ultima volta in cui Silvia è tornata in Italia, in aeroporto l’addetto al controllo dei documenti ha scavalcato la postazione e al collega ha detto, dandogli una pacca sulle spalle: ”Lei era a Top Chef!”.
 

Il sogno di aprire un ristorante italiano a New York: La Rina Pastificio & Vino

Durante la sua partecipazione a Top Chef, tramite dei business partner, comincia il progetto del nuovo ristorante (arrivano gli arredi e si prepara il locale) e al suo ritorno, due mesi dopo, Silvia si dedica a LaRina Pastificio & Vino, che nel giro di qualche mese viene aperto. Il programma va in onda qualche tempo dopo e, una volta terminato, arrivano più clienti.

I primi mesi sono stati duri, la zona in cui si trova il ristorante, Brooklyn, sta emergendo ora, non essendo in città. Allo stesso tempo però adesso c’è più concorrenza e nella zona sono raddoppiati i ristoranti. Come si fa notare LaRina? “Accogliamo le persone come in Italia. Le persone lo riconoscono e ci dicono che non sembra nemmeno di essere a Brooklyn! Siamo italiani, ci comportiamo come tali, il cibo è buono ed è nostro”. La clientela americana però non è semplice ed è molto critica, tanto che più volte Silvia si è ritrovata in situazioni difficili da gestire. “Due mesi dopo la nostra apertura - ci racconta - mi hanno chiesto la lasagna e al cliente non era piaciuta. La nostra ricetta è quella originale, tramandata da 3 generazioni. Il motivo della contestazione? La mancanza di aglio e origano… Bhè sono uscita dalla cucina e gli ho consigliato di andarla a mangiare altrove!”.

La difficoltà di uno chef italiano a New York è proprio quella di far capire perchè i piatti sono proposti in un certo modo. Bisogna educare i clienti americani ed è più facile con chi davvero non ha le conoscenze della nostra cucina, perchè con chi si comporta con supponenza nella convinzione di avere delle conoscenze reali purtroppo non c’è confronto e non cambia idea. Dall’altro lato, però, gli americani non risparmiano nei complimenti se riconoscono il valore di un professionista, ed è quello che succede a Silvia, che viene riconosciuta per strada e da cui i clienti tornano perchè nel suo ristorante si sentono bene.
 

La cucina di LaRina, italiana, contemporanea e stagionale

Lo spaghetto affumicato aglio olio e peperoncino è il piatto bandiera di LaRina ma qui è davvero dura scegliere un solo piatto nel menù. Silvia definisce la sua una cucina italiana contemporanea e stagionale, focalizzata sulla pasta.

“Rispetto i canoni della cucina italiana ma allo stesso tempo non sono in Italia, sono in America. Devo usare i prodotti buoni che ci sono qui stagionalmente. Perchè importare i pomodori dalla California quando puoi fare molto altro usando ciò che ho a disposizione qui?”

Il menù di LaRina è un tributo alla pasta ma c’è una sorta di contaminazione tra le ricette originali e i prodotti locali. Silvia tiene molto alla qualità del suo prodotto, per cui preferisce usare ingredienti locali ma buoni piuttosto che prodotti alterati di importazione italiana. Farina e mozzarella arrivano dall’Italia, ma molti ingredienti seguono la stagionalità della produzione americana.

Le persone capiscono il valore aggiunto della pasta fresca? “Alcuni ancora no. C’è uno sforzo di educazione continuo, anche verso i ragazzi che lavorano nel mio ristorante”. La cucina di Silvia però tiene conto di quei trend dell’alimentazione che però ormai è chiaro non sono più mode. Nel menù c’è la pasta gluten free e piatti senza derivati del latte, ad esempio. “Mi interessa molto dare giustizia ai sapori, non coprirli ma esaltarli, tuttavia mi rendo conto che sempre più persone hanno queste necessità. Ci sono tante cose nel menù che sono senza latticini, gluten free, vegan.

Voglio che le persone abbiano un’esperienza culinaria e che tutti amino venire qui. Sono food friendly!”. Non è un trend, insomma, ma uno stile di vita. Nel tempo lo stile di cucina di Silvia ha ripagato e le più grandi soddisfazioni arrivano dalle persone che passano dal ristorante. Frasi come “il tuo cibo mi ricorda tanto la cucina di mia nonna” o “mi ero dimenticato quanto fosse buono” alla chef scaldano il cuore. Per finire chiediamo a Silvia quali siano le qualità immancabili di uno chef italiano che si avventura nel mercato americano. “L'umiltà e la capacità di adeguarsi ai tempi. Un bravo chef deve usare quello che ha, è inutile che prendo un pomodoro dalla California, quando posso usare qualcosa di buono che trovo qui a New York. Amare il cibo vuol dire soprattutto fare ricerca e adattarsi”.

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