Con due ristoranti, è veneto uno degli chef più apprezzati di Miami

Vent'anni di esperienza in America e due ristoranti a Miami (Salumeria 104, Midtown e Salumeria 104, Coral Gables)

A testimonianza di come l’Italia autentica sia sempre più ricercata, anche in un contesto multietnico e multiculturale come quello di Miami


Ristoranti trattorie di successo negli Stati Uniti

I consigli di uno chef veneto che sbarca negli Stati Uniti alla "ricerca" della Sua cucina e ritrova proprio in America un legame ancora più forte con le radici della sua terra e il patrimonio gastronomico italiano

Voleva creare un locale a sua immagine e somiglianza lo chef Angelo Masarin, quando decise di partire alla volta dell’America

Ma prima ancora di arrivare alla Sua cucina, sentiva forte l’esigenza di sperimentarsi, “di crescere”, come ripeterà più volte durante l’intervista. Comincia così il suo viaggio”, alla ricerca della propria identità culinaria, passando dai ristoranti più classici italiani a quelli più innovativi e alla moda. Dal Cunnecticut, dove lavora per otto anni in un ristorante tradizionale italiano; a Fisher Island (New York), un’isola selvaggia dove ritrova il suo amore per la natura e può praticare pesca notturna (oltre naturalmente a cucinare); per approdare infine a Miami, dove si stabilisce definitivamente.

E da Miami ricomincia tutto daccapo “con mia moglie, quattro valigie e un cane”, precisa Angelo sorridendo, con quel velato orgoglio di chi ora conosce le sfide che lo attendevano, ma non allora. All’epoca aveva una sola idea chiara in testa a guidarlo in questo nuovo inizio, era il volersi mettere in gioco attraverso nuove esperienze gastronomiche, in qualsiasi ruolo purché ricco di stimoli. Insomma, non voleva più accontentarsi.

Ristoranti e trattorie di successo negli Stati UnitiNel 2009 inizia il suo nuovo percorso come chef de cusine a Sardinia Restaurant, ristorante che lascerà dopo solo un anno per lavorare come Chef de Partie a Casa Tua, a quei tempi considerato il miglior ristorante di Miami e frequentatissimo dai VIP. A dirigere l’orchestra in cucina era l’Executive Chef Sergio Sigala, di origini bresciane, di cui Angelo nel tempo diventerà anche amico, oltre che collaboratore. Quando Sigala lascia Casa Tua, ad Angelo si presenta la sua prima grande occasione in America: ereditare il suo posto come primo chef in un famoso ristorante a Miami, ma ancora non sente quel ruolo nelle sue corde, decide anzi, di seguire lo chef-amico anche alla SOHO House’s Cecconi, prestigiosa location con più sedi nel mondo. Deve arrivare il 2011 perché Angelo si senta pronto a realizzare il suo grande sogno, e a prendere il timone del ristorante Salumeria 104, diventandone co-proprietario insieme ai soci Graziano Sbroggio e Carlo Donadoni.

Da allora lo chef veneto ne ha fatta di strada, perché il Suo ristorante a Miami, sempre affollatissimo, loconoscono tutti. Un punto di riferimento e di ritrovo per gli abitanti del quartiere di Midtown Miami (un’area residenziale dove spuntano sempre più palazzi ultramoderni); ma anche un porto di mare per tutti quelli che qui ci vengono apposta, consapevoli di mangiare bene e a un buon prezzo, ma anche di poter ordinare prelibatezze se sono in vena di spendere. Dove la parola di casa è ospitalità. E la cucina è autentica e si basa sempre su prodotti freschissimi; spesso importati dall’Italia, come il tartufo bianco ad esempio (un’annata fantastica questa!); e quotidianamente preparati all’interno del locale, come il pane e la pasta sempre freschi. Prodotti di altissima qualità accessibili a tutti. Questa è sicuramente una delle carte vincenti di Salumeria 104.

Salumeria 104 di Miami è un inno alla genuinità, fedele all'idea di trattoria, ma in una versione decisamente contemporanea

Entrando è piacevole ritrovarsi in uno spazio luminoso, grazie alle ampie vetrate che seguono il perimetro del ristorante nella parte anteriore; quella che si affaccia sul viale pedonale, in cui sono collocati altri tavoli sotto ampi ombrelloni che riparano dal sole perenne di Miami.

A Salumeria 104 la pasta è preparata fresca ogni giorno e vengono importate in America solo le eccellenze italianeLa sala da pranzo, di circa 150 metri quadri, è sviluppata pensando al cibo, protagonista indiscusso. Dal ristorante, in grado di dialogare con l’esterno per mezzo di una cucina a vista, a un’intera parete dedicata al pane (perché è più buono appena sfornato!), all’angolo che funziona come la miglior salumeria di fiducia, in cui è possibile ordinare il prosciutto di Parma o il San Daniele (e altri salumi) anche da asporto, e vederlo tagliare con meravigliose affettatrici manuali vintage, che si impongono, con classe, anche come complemento d’arredo. Dai soffitti bianchi pendono anche salami e prosciutti accanto ai lampadari, mentre i tavoli e le sedie giocano sul contrasto di legni chiari e scuri. Il tutto conferisce quel tocco rustico che appartiene di diritto a un’osteria, e poco importa che sia di stampo tradizionale o moderno.

È possibile anche accomodarsi al bancone che segue il profilo della cucina e termina in prossimità dell’entrata, se si è senza compagnia e si vuole gustare un pasto fugace. Il marmo è già apparecchiato con piatti, posate e tovaglioli (rigorosamente in tessuto), e a seguire arriverà anche il menù, consegnato da un cameriere insieme a un immancabile sorriso. E chissà, se arriverà anche “l’oste d’eccezione” a darci il benvenuto, Angelo, solito a uscire dalla sua postazione ai fornelli per intrattenere i clienti e assicurarsi con premura che vada tutto bene.

Ciò che colpisce di Angelo è proprio la sua sincerità. La respiri ovunque, nel team che ha creato, che dà al locale un’atmosfera informale, ma capace di avvolgere in modo familiare; nella soddisfazione che ha nel dirti che quel piatto di tagliolini freschi al tartufo bianco (perché ad ogni boccone non fai che ripetergli quanto sia semplicemente perfetto!), non l’ha preparato lui, ma il suo staff in cucina. Ma soprattutto nella sua cucina, allo stesso modo sincera, perfetta nella sua semplicità.

La filosofia del Patron del locale è proprio questa: fondere una cucina che si riallaccia alla tradizione del territorio d’origine con un’atmosfera conviviale, e farsi così portavoce della profonda e vasta tradizione del nostro Paese in America

“Il mio cuore batte veneto!” - È la prima fase pronunciata da Angelo al nostro incontro, a svelarci qual è, in fondo, il segreto del suo successo, ovvero che non si può comunicare una passione se di quella passione non si è prima di tutto innamorati. E Angelo ci è riuscito. A trovare la sua cucina e la sua brigata, e a distinguersi dagli altri, diventando a tutti gli effetti uno degli chef più influenti di Miami.


Cosa pensi del patrimonio enogastronomico italiano, è considerato un elemento di valore in America?

L’Italia è un paese strepitoso. Abbiamo una ricchezza enogastronomica straordinaria, che ci invidiano e copiano da tutto il mondo. Dai nostri prodotti tipici: i formaggi, i salumi, le paste, gli oli. Alla cucina italiana, che in realtà è una cucina dialettale, in grado di sfornare specialità regionali in un excursus senza soluzione di continuità, dall’estremo nord all’estremo sud. E poi il vino. Abbiamo 2000 varietà di vini e non ce li ha nessuno, neanche i francesi. Ci vogliono i francesi, gli spagnoli e i greci (tutti insieme!) per ottenere le varietà di vini che abbiamo noi. Vado orgoglioso di questa eredità enogastronomica. Anche se devo ammettere che la maggior parte di questa varietà l’ho scoperta lavorando negli Stati Uniti.


In che senso hai scoperto il patrimonio enogastronomico italiano negli Stati Uniti?

In Italia sono tutti un po’ gelosi di ciò che hanno, nel senso che tradizioni regionali diverse tendono sempre a non contaminarsi. Nella maggioranza dei casi ogni regione promuove solo i propri prodotti: in Emilia Romagna si beve Lambrusco, in Veneto il Merlot, tanto per fare un esempio. In Italia puntiamo a distinguerci principalmente rimanendo barricati nei confini del nostro territorio culinario, in una sorta di rivalità regionale. Io ho imparato tanto qui in America, forse molto di più che se fossi rimasto in Italia.


Come è nata l’idea di aprire il ristorante Salumeria 104 a Midtown Miami?

Guarda, io e il mio socio, Graziano, un giorno ci siamo seduti dalla parte opposta della strada e  Gli chef della ristorazione di successo negli Stati Uniti importano specialità regionali dall'Italiaguardando in questa direzione ci siamo detti “facciamo panini e insalate to-go per il “neighbourhood”. A Midtown Miami ancora non c’erano tutti questi palazzi di vetro che vedi ora e non c’era così tanta gente, probabilmente ce n’era la metà. Inizialmente dovevamo anche attenerci a dei limiti imposti dal landlord, che preferiva non avere due ristoranti italiani a dividersi la stessa piazza, perché allora c’era già un altro ristorante italiano, che adesso non c’è più. Quindi l’idea della salumeria e di un concept che puntasse sui salumi è nato soprattutto per diversificarsi. Ma in realtà, ci siamo evoluti in maniera molto naturale verso un ristorante vero e proprio: la richiesta era tale che dai panini alle paste il salto è stato breve.


Sei arrivato anni fa, come è cambiata la cucina italiana e la percezione dell’americano rispetto alla cucina italiana?

Anche se a Miami non ci sono così tanti americani, perché la maggioranza della popolazione è sudamericana, avendo cominciato a lavorare negli Stati Uniti dal 2001, posso dire che la televisione in America è stata fondamentale nell’infondere la cultura dell’alimentazione. I Food Network hanno un seguito enorme negli Stati Uniti, basti pensare che Top Chef è il secondo programma più visto d’America e, in generale, tutti i programmi di cucina hanno compiuto un’opera divulgativa massiccia. Chef come Antony Bourdain o Andrew Zimmern sono stati pionieri in questo senso.

È una cosa bella per l’americano, ma anche per uno chef come me, venuto negli Stati Uniti con l’idea di provare cose diverse. In Italia la mia conoscenza dei vini, ad esempio, si fermava al Brunello di Montalcino, al Barolo, al Nebbiolo e ad altri pochi vini, nonostante lavorassi in grandi ristoranti. È qua che ho avuto veramente la possibilità di saggiare i prodotti di tutta Italia. Chi meglio dell’americano può spendere e sperimentare così tante varietà di ottimi prodotti italiani? È proprio questo il bello dell’America, il fatto di essere più liberi culturalmente. Perché io da veneto bevo il cabernet di casa mia, non bevo il vino pugliese, mentre l’americano non si pone alcun tipo di freno. È curioso, vuole provare cose nuove e ha il denaro per farlo, e lo fa tutti i giorni, perché in America mangiano fuori tutti i giorni. Cosa c’è di meglio di questo? È una cosa bellissima! E questo non solo permette a noi del mestiere di crescere, ma dà a tutti la possibilità di esprimersi. Qui c’è spazio per tutti. Ognuno può fare la propria cucina: regionale, innovativa, da Bottura al panzerotto street food. Avanti all’intraprendenza delle persone!


Mediamente com’è la qualità del cibo nei ristoranti a Miami?

Da quando sono arrivato io, nel 2009, i ristoranti sono triplicati e devo dire anche la qualità è cresciuta tantissimo. All’inizio mi lamentavo perché rispetto a New York e a Boston, ad esempio, a Miami era molto difficile trovare qualcosa di qualità a un giusto prezzo. Adesso invece c’è davvero molto.


Un prezzo giusto a Miami quale dovrebbe essere?

Quando si può mangiare e bere di qualità senza spendere più di 50 dollari a persona. Qui a Salumeria riesci a mangiare bene con 50 dollari. Anzi lo scontrino medio è di 40/42 $. A meno che non ordini una fiorentina, o prodotti esclusivi ovviamente, che abbiamo nel menù o proponiamo come special: adesso per esempio è la settimana del tartufo.


In quanto a prodotti riesci a trovare tutto in America?

I ristoranti e le trattorie di successo a MiamiSi trova tutto, e, anzi, finalmente si sta cominciando a capire che è importante attingere anche dalle piccole aziende del territorio italiano, non solo da quelle grandi. Il primo passo per promuovere l’immagine culinaria del Paese Italia è far conoscere quelle piccole realtà che producono le eccellenze. È nostro compito farli conoscere. E qui subentra la ricerca delle strutture adeguate o delle società di consulenza, che vengono in aiuto nello snellire il processo di importazione dall’Italia agevolandone tutti i passaggi. I tartufi di oggi, ad esempio, sono arrivati stamattina dall’Italia. I miei ragazzi li aspettavo all’aeroporto. Sono in forte crescita anche le realtà che producono le materie prime italiane in loco. Ad esempio, per le mozzarelle io mi rifornisco da esperti artigiani casari che lavorano qui a Miami: chi mi fa le bufale, chi le burratine. Sono entrambi napoletani. Si fanno spedire la cagliata e lavorano il prodotto qui: prodotti eccezionali. Tradizione e territorio sono diventati obiettivi culturali: la storia millenaria italiana esercita un grande fascino sul pubblico americano.


Chi sono i maggiori concorrenti degli italiani sulla piazza americana?

La cucina italiana piace sempre se fatta in un certo modo – soprattutto se mantiene un giusto rapporto qualità/prezzo. Secondo me, oggi, il maggior antagonista dell’italiano potrebbe essere l’americano, e ciò è dovuto sempre al fatto che è aperto, non ha paura di sperimentare e quindi azzarda. Devo ammettere che gli chef americani stanno raggiungendo dei bei traguardi in cucina.


E i francesi?

Nella scena di Miami i francesi non ci sono mai stati. La Francia non è competitiva come l’Italia sul piano culinario. A livello di prodotto, ma non di cucina: champagne sì, ristorazione no. La cucina che viene più utilizzata al mondo è quella italiana, così come è italiana l’immagine della ristorazione a Miami.


E come la mettiamo con il target della popolazione sudamericana?

I miei clienti sono principalmente sudamericani, ma questo è positivo per la mia cucina, perché ci sono molti punti d’incontro tra le due tradizioni gastronomiche. La popolazione latina mangia il fegato alla veneziana o le seppie, protagoniste di un’altra ricetta tipica veneta, solo per citare alcuni esempi. Poi sì, ti chiedono anche le fetuccine Alfredo, ma a mio avviso le abitudini culinarie dell’America Latina sono quelle che più si avvicinano alla nostra. Personalmente ho creato un menù in base a quello che mi piace fare, senza compromessi per incontrare i gusti locali. E poi mi piace regalare ai miei clienti il gusto delle stagioni nel piatto, quelle che un po’ mancano in una Florida calda 365 giorni l’anno. Con gli special posso proporre il radicchio di Treviso, ad esempio, quando è in stagione e tante altre primizie stagionali. Mi piace dare alternanza al menù lavorando in questo modo.


Qual è la chiave del successo di un ristorante di Miami come Salumeria?

Sicuramente la consistenza in cucina. I piatti devono mantenere una qualità sempre costante. L'ospitalità nella ristorazione è un fattore di successo per un ristorante in AmericaCosì come le materie prime eccellenti (spesso e volentieri importate dall’Italia) e un’ottima cantina a un prezzo accessibile a tutti. I prodotti italiani si prestano a questa filosofia. Ma anche cercare di trasmettere al cliente quel qualcosa che non si aspetta: dall’aprirgli la porta, al salutarlo con un sorriso. Creare un’atmosfera, questa è la cosa più importante. Qui in America ho imparato che a volte basta uno sguardo, far sapere al cliente che ti stai prendendo cura di lui, anche se non hai il tempo fisico per farlo. L’americano vuole molta attenzione, altrimenti scatta la recensione negativa.


Qual è il tuo rapporto con le recensioni?

La verità? Ho un rapporto di amore e odio con le recensioni, anche se devo ammettere che dovrei prenderle con filosofia e riconoscerne solo i vantaggi. L’unico problema è che l’americano non vuol sentirsi dire “no”. Un esempio su tutti: a Miami hanno tutti il cane e vorrebbero farlo entrare nel ristorante. Ma non è ammesso, così qualche volta mi sono ritrovato anche a litigare. Poi con l’esperienza ho imparato a farmi furbo, a utilizzare l’arte del dire “no”, senza dire “no”. È davvero importante far andar via il cliente contento in America, perché la recensione è un’arma a doppio taglio.


A proposito del tuo team vedo molti italiani.

Il tema dell’ospitalità è di primaria importanza e credo che per un italiano il senso dell’ospitalità sia qualcosa di innato e, anche nel caso in cui non lo fosse, è comunque più facile trasmettergli questo concetto. Altro fattore da non dimenticare, il locale italiano con personale italiano acquista autenticità.


E i visti per lavorare in America?

Ho 35 dipendenti a Salumeria Midtown, di cui più della metà sono italiani e se aggiungiamo anche Salumeria 104 a Coral Gables, un altro locale che ho inaugurato da pochi mesi, siamo sui 60 dipendenti. In linea di massima cerchiamo di mantenere lo stesso rapporto, con un 60% dello staff italiano. Il resto del team è composto da argentini, haitiani, hondureni, shrulankesi. È fondamentale fare un buon training ai ragazzi, vanno seguiti continuamente, ma ad oggi mi ritengo molto soddisfatto del risultato. Ho una squadra di lavoro che mette passione in ciò che fa, cosa chiedere di più?


Il complimento che hai ricevuto che ti ha fatto più piacere?

Tanta gente viene e mi dice: “ho mangiato meglio che in Italia”. Gente che viaggia.


Da italiana, che viaggia, ti posso confermare che il tuo tagliolino fatto in casa al tartufo bianco batteva molti di quelli che ho mangiato in Italia.

Ristoranti trattorie di successo negli Stati UnitiE non l’ho fatto io. Quando un cliente mi dà un riscontro così positivo e non sono stato io a cucinare sono ancora più contento, perché significa che ho saputo trasmettere le mie competenze durante il training e i ragazzi hanno imparato e ora sanno mettere a frutto al meglio.


È difficile mantenere lo stesso team a lungo termine in una città come Miami?

Sono convinto che per mantenere il personale devi avere una grande etica professionale e un approccio onesto. Poi è fondamentale trovare le persone giuste per il posto giusto.


Questa zona, Midtown, cosa rappresenta per un ristorante a Miami?

Un punto di riferimento, è una zona che conoscono un po’ tutti a Miami. Midtown è un'area residenziale, confinante con Wynwood,altra zona ormai conosciuta a livello mondiale. Quando sono arrivato nel 2009 a Wynwood c’era solo un ristorante, quello di Goldman, colui che l’ha fondata e ha avviato la trasformazione che l’ha resa il polo turistico internazionale di oggi.

Via via che aprivano i piccoli locali trendy di Wynwood, noi chef ci andavamo a bere whisky e ad ascoltare musica. Era frequentata prevalentemente da giovani e abitata da artisti. Ora la zona ha subito una trasformazione tale che gli affitti sono saliti alle stelle: aprire un locale a Wynwood costa di più che sulla storica Lincoln Road a Miami Beach. E anche gli artisti, i veri artefici del successo planetario di Wynwood, se ne sono dovuti andare non potendosi più permettere di vivere lì. È rimasta qualche galleria, ma ormai prevalgono locali e ristoranti. Perché è lì che puoi trovare la bella clientela, e non più sulla Ocean Drive come una volta; così come la puoi trovare in altre zone residenziali o a Brickell, il cuore finanziario di Miami. In pratica si popolano tutte quelle aree dove ci sono i servizi e i palazzi nuovi di zecca. Miami sta vivendo un periodo di crescita fortissima. Basti pensare che nel 2020 porteranno qui anche la Formula 1.


Un consiglio e/o un avvertimento che daresti a chi volesse aprire un ristorante a Miami?

Attenzione agli squali, soprattutto in una città del sud. Miami attira persone da tutto il mondo, di tutti gli strati sociali. Prima di investire lavora sul campo, oppure affidati a una società di consulenza che ti aiuti a capire come funziona questo mercato, perché non è tutto ora quello che luccica.

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